“Non posso dirvi quanto è doloroso… Non avrei mai pensato che in Italia potessero farmi una cosa del genere” Adam, 27 anni, Darfur.
Migliaia di uomini, donne e bambini, in fuga da guerra e povertà, continuano a raggiungere l’Italia in cerca di salvezza. Da settembre 2015, il nostro paese, su richiesta della Commissione europea e degli altri stati membri, applica il cosiddetto “approccio hotspot”: le persone che approdano sulle nostre coste vengono identificate e smistate frettolosamente. Sulla base di queste procedure viziate, le persone vengono separate tra “richiedenti asilo” e “migranti irregolari”. Questi ultimi, sono passibili non soltanto di allontanamento tramite un ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni, ma anche di rimpatrio forzato.
Per poter rimpatriare più persone, l’Italia ha stilato accordi bilaterali di cooperazione con le autorità di diversi stati, inclusi paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, come il Sudan. Questi accordi stanno progressivamente svuotando il diritto di asilo in Italia e in Europa, facilitando i rimpatri tramite procedure superficiali e esponendo le persone al rischio di gravi abusi, in violazione del principio di non-refoulement.
Questi accordi sono illegittimi sotto il profilo dei diritti umani e devono essere fermati. Firma ora l’appello al Presidente del Consiglio.
A partire da settembre 2015, i leader europei hanno spinto l’Italia ad implementare il cosiddetto “approccio hotspot” allo scopo di realizzare un’azione di controllo e identificazione dei migranti direttamente allo sbarco. L’idea è quella di separare nel modo più veloce possibile i “migranti irregolari” dai richiedenti asilo. I primi sono passibili di espulsione e rimpatrio, mentre i secondi avrebbero dovuto essere distribuiti ed accolti equamente in tutti i paesi europei attraverso un programma di ricollocazione (relocation).
A fronte di 150mila arrivi nel 2016, sono stati ricollocati finora solo 1.196 rifugiati sui 40.000 promessi.
Nell’ambito dell’approccio hotspot, l’indagine di Amnesty International ha documentato una serie di violazioni dei diritti umani a vari livelli, tra cui:
- violazioni dei diritti umani nella fase di identificazione delle persone giunte in Italia, alcune delle quali sono state costrette a rilasciare le proprie impronte digitali anche attraverso documentati casi di maltrattamento, detenzione arbitraria, uso eccessivo della forza, fino ad arrivare a veri e propri episodi di tortura, incluso l’uso di scariche elettriche e pestaggi;
- la distinzione frettolosa e superficiale (screening) tra “richiedenti asilo” e “migranti irregolari”. Questo screening viene attuato dalla polizia allo sbarco, in assenza di una normativa specifica, quando le persone sono ancora stremate e sotto shock dal viaggio, e senza essere state informate pienamente sul loro diritto a fare domanda di asilo o sul loro status giuridico. Lo screening si traduce nella negazione del diritto di molte persone di accedere alla procedura di asilo;
- alcuni di questi “migranti irregolari” continuano il viaggio per cercare asilo in altri paesi europei, mentre altre rimangono in Italia costrette a vivere in condizioni di irregolarità giuridica, di precarietà economica e di vulnerabilità.
- altre persone vengono rimandate direttamente nei paesi di origine, senza che le autorità italiane abbiano debitamente verificato se rischiano di essere torturate o perseguitate al loro ritorno. Per facilitare le riammissioni verso i paesi di origine, l’Italia ha siglato accordi bilaterali di polizia anche con paesi responsabili di diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani. Questo è il caso dei 40 sudanesi rimandati a Khartoum ad agosto dopo una superficiale identificazione, in violazione del principio di non-refoulement, ovvero del divieto internazionale di rimpatriare persone che sono a rischio di gravi violazioni dei diritti umani nel loro paese di origine, anche se non hanno fatto domanda d’asilo.
Scarica il rapporto “Hotspot Italia: come le politiche dell’Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti”
C’è una regola molto semplice alla base del diritto dei rifugiati: nessuno stato può deportare una persona in un altro stato, senza prima essersi assicurato che quella persona non subirà torture, persecuzioni o altre gravi violazioni dei diritti umani una volta ritornata.
Il 3 agosto 2016, l’Italia e il Sudan hanno siglato un accordo di polizia, in base al quale i cittadini sudanesi presenti irregolarmente sul territorio italiano possono essere riammessi in Sudan, tramite procedure di identificazione così sommarie – e delegate alle autorità sudanesi, libere di muoversi in porti e commissariati di polizia italiani – da non essere compatibili con questa regola.
In virtù di tale accordo, il 24 agosto, dall’aeroporto di Torino, ha avuto luogo un primo rimpatrio di 40 cittadini sudanesi, molti dei quali originari del Darfur. Essi sono stati identificati superficialmente dalle autorità consolari sudanesi poco prima della partenza e Amnesty International ritiene che le autorità italiane non abbiano compiutamente verificato se correvano rischi una volta rimpatriate.
Amnesty International ha parlato con un uomo sudanese del Darfur, rimpatriato il 24 agosto. Yaqoub, di 23 anni, aveva abbandonato il Sudan perché temeva per la sua vita, ma è stato rimpatriato con la forza. “Siamo atterrati all’aeroporto di Khartoum alle 22 circa del 24 agosto. Ad attenderci davanti al portellone dell’aereo c’erano agenti dei servizi di sicurezza in borghese. Ci hanno portato in una zona speciale dell’aeroporto e hanno iniziato a picchiarci… Ci hanno interrogati uno per uno… Adesso ho paura che i servizi di sicurezza mi stiano cercando, se mi trovano non so cosa mi succederà e che cosa fare”.
Rinviare queste persone in Sudan, significa metterle a rischio di gravi violazioni dei diritti umani, in netto contrasto con quanto stabilito dal diritto internazionale dei rifugiati. L’Italia quindi si macchia non soltanto di aver firmato e messo in atto un accordo illegittimo, ma anche di averlo fatto con un paese nel quale si violano sistematicamente i diritti umani e il cui presidente, Omar al-Bashir, è ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra.
Accordi come quello con il Sudan non passano al vaglio del Parlamento e raramente vengono resi pubblici.
Chiediamo al governo Italiano di non siglare e non applicare più accordi che espongono le persone rimpatriate a gravi abusi, in paesi che sono teatro di conflitti o che violano in maniera sistematica e massiccia i diritti umani. Ogni persona presente sul territorio italiano deve poter aver accesso effettivo alle procedure per la richiesta di asilo e le sue circostanze personali devono essere esaminate singolarmente.
Egregio Presidente Gentiloni,
L’Italia sta facendo molto per salvare le persone che rischiano la vita attraversando il Mediterraneo per fuggire da persecuzioni, conflitti e miseria e arrivare in Europa per vivere in sicurezza. Tuttavia, una volta in Italia, i diritti di queste persone sono sempre più negletti.
Il c.d. “approccio hotspot” non garantisce a queste persone un accesso adeguato alle procedure di asilo e separa, spesso in maniera superficiale e sbrigativa, le persone che hanno bisogno di protezione internazionale da quelle che si presume “non necessitino” di tale protezione. Sappiamo bene cosa succede a queste persone: c’è chi tenta di continuare il viaggio per chiedere asilo in un altro paese europeo e chi diventa facile vittima di sfruttamento in Italia.
Altri ancora vengono rimandati direttamente nei paesi di origine, senza che le autorità italiane abbiano debitamente verificato se rischieranno di essere torturate o perseguitate al loro ritorno, grazie ad accordi bilaterali di polizia siglati con paesi responsabili di diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani. Questo è il caso dei 40 Sudanesi rimandati a Khartoum ad agosto dopo una superficiale identificazione, in violazione del principio di non-refoulement, ovvero del divieto internazionale di rimpatriare persone che sono a rischio di gravi violazioni dei diritti umani nel loro paese di origine, anche se non hanno fatto domanda d’asilo.
Signor Presidente, Le chiedo di fermare questi rimpatri e gli accordi che li consentono: essi mettono a serio rischio le persone che cercano salvezza in Italia e in Europa, consegnandole direttamente nelle mani di governi che potrebbero perseguitarle ferocemente. Chiedo che l’Italia non si renda complice di queste violazioni dei diritti umani: è una macchia che rischia di vanificare il bene fatto dall’Italia alle migliaia di persone soccorse in mare.
Distinti saluti,