Il 2 ottobre il noto giornalista saudita Jamal Khashoggi è entrato nel consolato dell’Arabia Saudita di Istanbul in Turchia e da allora risulta scomparso.
La sparizione di Khashoggi è avvenuta in un contesto nel quale il governo saudita continua a reprimere aspramente il dissenso con arresti e processi iniqui che potrebbero terminare con lunghe condanne se non con la pena di morte.
Jamal Khashoggi aveva lasciato l’Arabia Saudita nel 2017, recandosi negli Usa, proprio per evitare le persecuzioni e l’ondata di arresti nel suo paese.
Mentre era in Turchia, si è recato al consolato dell’Arabia Saudita per ottenere il nulla osta per sposare una cittadina turca e non ne è più uscito. Le autorità locali ritengono che sia stato assassinato all’interno del consolato.
Se ciò fosse vero, ci troveremmo di fronte a un fatto senza precedenti. Un assassinio all’interno del consolato, che è territorio sotto la giurisdizione dell’Arabia Saudita, costituirebbe un’esecuzione extragiudiziale e seminerebbe il panico tra i difensori dei diritti umani e i dissidenti sauditi ovunque nel mondo, rendendo privo di significato il concetto della ricerca di protezione all’estero.
Il mondo ha bisogno di sapere cosa è successo a Jamal Khashoggi e abbiamo bisogno del tuo sostegno per farlo accadere.
Segretario generale delle Nazioni Unite
António Guterres
Eccellenza,
La esorto a stabilire una indagine indipendente al fine di determinare le circostanze che circondano la sparizione forzata e l’eventuale esecuzione extragiudiziale del noto giornalista saudita Jamal Khashoggi.
Khashoggi è entrato nel consolato saudita a Istanbul il 2 ottobre 2018 e da allora se ne sono perse le tracce. L’Arabia Saudita ha negato il proprio coinvolgimento nella scomparsa di Khashoggi, affermando che il giornalista ha lasciato il consolato da solo poco dopo il suo arrivo, ma le autorità non hanno prodotto alcuna prova a sostegno di tale affermazione. Le autorità turche hanno riferito ai media che Jamal Khashoggi è stato assassinato nel consolato.
Una indagine indipendente dovrebbe determinare le circostanze della sparizione forzata e l’eventuale esecuzione extragiudiziale di Khashoggi. Dovrebbe mirare a identificare tutti i mandanti, i responsabili della pianificazione e l’esecuzione delle operazioni connesse al caso.
La scomparsa di Khashoggi arriva dopo oltre un anno di arresti contro i giornalisti che hanno denunciato casi di corruzione, violazione dei diritti delle donne e altre questioni sensibili, così come contro i difensori dei diritti umani e di tutte le voci critiche nella società.
Il caso di Jamal rischia di finire sotto il tappeto per un accordo politico. Una indagine indipendente ed imparziale da parte dell’Onu contribuirà a rivelare la verità e i fatti.
La ringrazio per l’attenzione.
Le autorità portano avanti un programma sistematico di repressione nei confronti di attivisti pacifici e dissidenti, vessando scrittori, commentatori online e chiunque eserciti il proprio diritto di esprimere liberamente opinioni contrarie alla linea politica del governo.
A seguito dell’annunciata decisione di interrompere i rapporti con il Qatar, le autorità saudite hanno ammonito i cittadini a non esprimere simpatia nei confronti del Qatar o a non criticare le azioni del governo, affermando che questa condotta sarebbe stata considerata un reato punibile ai sensi dell’art. 6 della legge contro i reati informatici.
Qualsiasi raduno pubblico, comprese manifestazioni pacifiche, rimane vietato ai sensi di un’ordinanza emanata nel 2011 dal ministero dell’Interno.
A due anni dall’approvazione della legge sulle associazioni, non è stata creata alcuna nuova organizzazione indipendente per i diritti umani, come previsto dalla normativa.
Le attività di alcune organizzazioni indipendenti per i diritti umani che erano state costrette alla chiusura, tra cui l’Associazione saudita per i diritti civili e politici (Acpra), l’Unione per i diritti umani, il Centro Adala per i diritti umani e l’Osservatorio per i diritti umani in Arabia Saudita, erano ancora bloccate.
Quasi tutti i loro membri erano stati giudicati colpevoli e condannati; alcuni sono fuggiti dal paese o sono stati processati dal Tribunale penale speciale (Scc).
Nell’ottobre 2017, le autorità hanno approvato una nuova legge contro il terrorismo, che ha sostituito quella del 2014, introducendo pene specifiche per i crimini “terroristici”, tra cui la pena di morte. La legge continua a contenere definizioni vaghe e oltremodo ampie degli atti di terrorismo, permettendo alle autorità di usarle come ulteriori strumenti di repressione della libertà d’espressione e dei difensori dei diritti umani.
Le autorità arrestano, perseguono e condannano difensori dei diritti umani sulla base di accuse dalla formulazione vaga, che fanno riferimento in maniera estensiva alla legge contro il terrorismo del febbraio 2014. Ad esempio, tutti gli 11 membri fondatori dell’Acpra, che le autorità avevano chiuso nel 2013, sono stati condannati a pene carcerarie.
Abdulaziz al-Shubaily, difensore dei diritti umani e fondatore dell’Acpra, è stato messo nel settembre 2017 in carcere per cominciare a scontare la sua condanna a otto anni di carcere, seguiti da un divieto di viaggio della durata di otto anni, oltre al divieto di scrivere sui social network, dopo che la sentenza è stata confermata in appello. L’attivista era stato ritenuto colpevole, tra le altre accuse, di aver “insultato l’integrità del sistema giudiziario e dei giudici” e “violato l’art. 6 della legge sui reati informatici”, mediante “l’istigazione dell’opinione pubblica contro i governanti di questo paese e la sottoscrizione di dichiarazioni che erano state pubblicate online e che esortavano la gente a manifestare”.
All’inizio del gennaio 2017, l’ingegnere informatico e attivista per i diritti umani Essam Koshak è stato raggiunto da un mandato di comparizione, per essere interrogato e ripetutamente interpellato in merito al suo account Twitter. Il 21 agosto, è iniziato il processo a suo carico davanti all’Scc, in cui doveva rispondere di una serie di imputazioni legate al suo attivismo online.
Sempre il 21 agosto, è iniziato davanti all’Scc il processo a carico del difensore dei diritti umani Issa al-Nukheifi, per una serie di accuse inerenti alcuni post che aveva pubblicato su Twitter. Era stato arrestato il 18 dicembre 2016 e a fine 2017 rimaneva detenuto nel carcere generale della Mecca.