Aggiornamento del 30/01/2018 – Il 25 gennaio la Corte d’Appello di Urmia ha annullato la condanna a morte sostituendola con una pena detentiva di cinque anni. Poiché dal momento dell’arresto Saman ne ha trascorsi in carcere più di sei, il suo rilascio dovrebbe essere prossimo.
“In Kurdistan, i bambini apprendono la povertà, l’ingiustizia e la morte prima d’imparare a giocare e a divertirsi giocando. Invece che coi giocattoli, familiarizzano con le mine anti-persona, gli ordigni inesplosi e i colpi di artiglieria”.
Saman Naseem, un ragazzo iraniano di etnia curda, avrebbe dovuto essere impiccato nel febbraio 2015, dopo essere stato condannato a morte per un omicidio commesso quando era ancora minorenne. La nostra campagna di raccolta firme lo ha salvato una prima volta dall’esecuzione e la Corte suprema ha deciso di sottoporlo a un nuovo processo.
Saman Naseem ha ancora bisogno del nostro aiuto.
Il primo processo è stato fortemente iniquo perché la corte ha utilizzato la sua “confessione” estorta con la tortura come prova contro di lui. Il rischio che il nuovo processo sia irregolare quanto il primo resta elevato.
Saman Naseem potrebbe essere condannato a morte, FIRMA ORA l’appello per salvarlo.
Dalla prigione di Urmia, Saman Naseem ha inviato attraverso la nostra organizzazione questo messaggio a coloro che lo hanno difeso e sostenuto.
Ciao!
Sono nato in un villaggio circondato da montagne dalle cime innevate, da foreste e valli profonde e ventose. Si potrebbe dire che uno dei luoghi più belli del mondo sia proprio il mio villaggio, Vasneh [nei pressi della città di Marivan, nella provincia del Kurdistan iraniano].
Sono cresciuto nel Kurdistan imparando una lingua che possiede alcuni dei suoni più antichi del mondo. Oggi, purtroppo, non è possibile parlarla liberamente ed è impossibile vivere in questa terra. Qui, i bambini apprendono la povertà, l’ingiustizia e la morte prima d’imparare a giocare e a divertirsi giocando. Invece che coi giocattoli, familiarizzano con le mine anti-persona, gli ordigni inesplosi e i colpi di artiglieria.
Quando sei giovane, se non accetti questa situazione e protesti ti attende la prigione. Puoi scegliere se lasciare la tua terra e la sua eredità millenaria e diventare un vagabondo senza patria in questo mondo o restare e lottare per i diritti della tua gente. Non c’è una terza opzione. Come molti altri bambini, a causa della povertà e della mancanza di scuole di secondo grado nel mio villaggio, non ho potuto andare oltre la quinta elementare. Ho visto l’oppressione, l’indigenza e la discriminazione nella mia terra natia. Spinto dall’entusiasmo giovanile, ho lasciato la mia famiglia, la mia casa e il mio villaggio per combattere contro le ingiustizie.
Il 16 luglio 2011 eravamo sui monti Qandil [nella provincia dell’Azerbaigian occidentale] quando siamo stati circondati dalle Guardia rivoluzionarie. Hanno iniziato a bersagliarci con l’artiglieria pesante e con colpi di mortaio. I miei compagni sono stati uccisi, io sono stato catturato.
In carcere, mi hanno interrogato e torturato. Poi mi hanno condannato a morte. Ogni singolo momento degli ultimi anni e tutto ciò che mi è capitato contengono così tante storie che non riesco a raccontarle tutte in questa lettera.
Il 18 febbraio 2015 io e alcuni compagni di prigionia siamo stati portati fuori dal braccio della morte: tre di loro sono stati impiccati. Io e gli altri siamo stati messi in isolamento. Per quattro mesi non abbiamo potuto fare telefonate né ricevere visite o notizie dall’esterno. Per quattro mesi, abbiamo vissuto con l’ombra della forca che penzolava sopra le nostre teste aspettando l’esecuzione da un momento all’altro.
Pensate, la mia famiglia era arrivata a credere che mi avessero già messo a morte e aveva persino celebrato il mio funerale. Quando ho avuto il permesso di telefonargli, non volevano credere alle loro orecchie! Per loro è stato uno shock completo.
Anche se non ho ricevuto le vostre lettere, poiché qui non le fanno entrare, sono stato informato dei vostri messaggi di solidarietà e dolcezza. Vogliono dire che non sono solo, che oltre ai miei amici e ai miei compagni di cella nel mondo esistono persone che hanno cuore e che stanno dalla mia parte.
Questo mi dà la speranza e la forza per vivere la mia vita e continuare a lottare, costi quel che costi. Non importa dove mi trovi ora e dove siate voi. Quello che veramente conta è essere insieme e non sentirmi solo. Ciò che fanno persone deliziose come voi rappresenta l’esperienza della solidarietà in azione.
Io spero che tutti i vostri giorni e tutte le vostre notti siano pieni di gioia e felicità. Vi stringo forte la mano e m’inchino di fronte alla vostra onorevole dolcezza.
Vi auguro tutto il meglio,
Saman Naseem, luglio 2016, prigione centrale di Urmia, Iran
La pena di morte per i minorenni al momento del reato: cosa dice la legge
Secondo una revisione del Codice penale islamico, divenuta legge nel maggio 2013, l’esecuzione di persone che hanno commesso crimini quando erano ancora minorenni è prevista per qesas (retribuzione) e hodoud (reati per i quali la pena contemplata dalla legge islamica non può essere cambiata). Tuttavia, per i minori all’epoca del reato, l’articolo 91 del Codice civile islamico attualmente in vigore, esclude la pena di morte per crimini che ricadono sotto qesas o hodoud nei casi in cui si ritiene che il minore non sia consapevole della natura del crimine e delle sue conseguenze o se ci sono dubbi sulla sua capacità di intendere e di volere.
L’applicazione della pena di morte nei casi di minorenni all’epoca del reato è vietata dal diritto internazionale in base all’articolo 6(5) del Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’articolo 37 della Convenzione dei diritti dell’infanzia. L’Iran ha ratificato entrambi i documenti.
Gli articoli 37(d) e 40(20(b)(ii) della Convenzione garantiscono ai minori che sono stati privati della libertà o che sono sospettati di aver commesso reati, il diritto a un legale rappresentante e ad altre forme appropriate di assistenza, per preparare e presentare la propria difesa, a cui devono aver accesso rapidamente. Il superiore interesse del minore dovrebbe essere garantito in ogni procedimento legale, richiedendo – tra l’altro – particolare attenzione nell’evitare confessioni forzate o autocondanne. La Commissione sui diritti dell’Infanzia ha interpretato il divieto alla coercizione e costrizione in maniera ampia, sottolineando la possibilità che i minori siano più facilmente indotti a confessare o ad autoaccusarsi a causa della loro età e condizione di sviluppo, della privazione della libertà, dell’incapacità di intendere, della paura di conseguenze ignote o della promessa di sanzioni più leggere o del rilascio.
In ragione della natura irreversibile della pena di morte, i procedimenti che contemplano la sua applicazione devono attenersi scrupolosamente ai principali standard internazionali di equo processo, incluso l’accesso a servizi di difesa competenti in ogni fase del procedimento penale, anche nella fase di indagini preliminari.
Ayatollah Sadegh Larijani c/o Public Relations Office
Number 4, 2 Azizi Street intersection
Tehran,
Islamic Republic of Iran
Eccellenza,
sono profondamente preoccupato per le notizie secondo cui l’imputato minorenne curdo Saman Naseem sia sottoposto a sparizione forzata dal 18 febbraio 2015. La sua esecuzione era stata fissata il 19 febbraio, dopo essere stato condannato per reati connessi alla sicurezza commessi quando era ancora minorenne. La sua condanna è stata emessa dopo un processo non equo che si è servito di prove estorte sotto tortura.
Sono sconcertato nell’apprendere che, negli ultimi mesi, le autorità iraniane abbiano negato alla famiglia di Saman Naseem qualsiasi informazione sulla sorte del ragazzo, sottoponendolo al rischio di essere messo a morte segretamente, torturato o sottoposto ad altri maltrattamenti.
Le ricordo, rispettosamente, che la sparizione forzata è una grave violazione dei diritti umani ed è considerata reato dal diritto internazionale. Essa persegue sia la persona sparita sia la sua famiglia che viene sottoposta a un dolore straziante poiché inconsapevole del destino riservato al proprio caro.
Le ricordo, inoltre, che le convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Iran vietano severamente l’uso della pena di morte nei confronti di persone che non avevano ancora compiuto 18 anni al momento del reato.
La esorto pertanto ad assicurare che le autorità:
- fermino l’esecuzione di Saman Naseem e annullino la condanna a morte;
- dicano la verità sulla sorte del ragazzo e sul luogo in cui è detenuto in segreto;
- assicurino che sia garantita una revisione giudiziaria del suo caso.