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Approfondimento a cura del Coordinamento tematico sulla pena di morte. Per restare aggiornato iscriviti alla newsletter. Per consultare i numeri precedenti clicca qui.
Nel decretare compulsivo delle prime ore dell’amministrazione Trump, due tra i vari provvedimenti contrari ai diritti umano hanno destato enorme preoccupazione riguardo alla pena di morte. Il primo incentiva i singoli stati degli Usa a darsi da fare per recuperare i prodotti necessari per eseguire le condanne a morte tramite il metodo dell’iniezione letale: dato che le principali aziende farmaceutiche dagli anni Dieci hanno deciso di non inviare più anestetici a causa del rischio che venissero usati nelle esecuzioni, si prospetta ora il ricorso a fornitori sconosciuti se non alla vera e propria farmacia sotto casa del direttore delle prigioni. Il tutto in un periodo in cui, se il numero delle esecuzioni è stazionario, diminuisce quello degli stati che vi ricorrono. Il secondo decreto, come previsto, ha annullato la moratoria disposta nella primavera del 2021 dall’amministrazione Biden sulle esecuzioni federali. L’ex presidente Biden ha commutato quasi tutte le condanne a morte federali, lasciando però nei bracci della morte tre detenuti civili e quattro militari: potrebbero essere loro le prime vittime del decreto di Trump. Va ricordato che quella moratoria si era resa urgente proprio a causa del bagno di sangue lasciato dall’amministrazione Trump alla fine del suo primo mandato: tredici esecuzioni negli ultimi otto mesi, tre delle quali quando era in procinto – con qualche resistenza, come noto! – di lasciare la Casa Bianca. C’è da augurarsi che le corti federali esercitino giustizia in modo indipendente e che, non appena tornate a essere fissate le date d’esecuzione, i ricorsi possano fermare il tentativo di rimettere in moto il nastro trasportatore della morte di stato.
Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia
La pena di morte è stata abolita in più della metà degli stati del mondo: 112 stati sono totalmente abolizionisti, 23 stati sono considerati abolizionisti di fatto perché non eseguono condanne a morte da almeno 10 anni o hanno assunto l’impegno a livello internazionale a non ricorrere alla pena capitale; altri nove stati hanno cancellato la pena di morte per i reati ordinari. In totale, dunque, 144 stati hanno abolito la pena di morte nella legge o nella prassi; 55 stati la mantengono in vigore, ma quelli che eseguono condanne a morte sono un terzo.
Esecuzioni nel 2024*
Condanne a morte eseguite al 2 febbraio 2025*
* questa lista contiene soltanto i dati sulle esecuzioni di cui Amnesty International è riuscita ad avere notizia certa. In alcuni paesi asiatici e mediorientali il totale potrebbe essere molto più elevato. Dal 2009, Amnesty International ha deciso di non pubblicare la stima delle condanne a morte e delle esecuzioni in Cina, dove questi dati sono classificati come segreto di stato. Ogni anno, viene rinnovata la sfida alle autorità cinesi di rendere disponibili queste informazioni che si ritiene essere nell’ordine di migliaia, sia di esecuzioni che di condanne a morte.
Arabia Saudita – Sono almeno 338 le esecuzioni nel 2024, secondo un conteggio effettuato dall’AFP sulla base di resoconti ufficiali. Più del doppio rispetto alle 172 del 2023 e ben oltre le 196 del 2022 che finora rappresentava il numero più alto registrato da quando a partire dagli anni novanta Amnesty International documenta le esecuzioni in Arabia Saudita. Non meno di 117 sarebbero le persone messe a morte per reati di droga: da quando il paese, due anni fa, ha messo fine all’uso della pena capitale per reati di droga, il numero di esecuzioni è costantemente cresciuto. Altro record riguarda i cittadini stranieri, ben 129, messi a morte nel 2024: tra questi, 25 yemeniti, 24 pakistani, 17 egiziani, 16 siriani, 14 nigeriani, 13 giordani e sette etiopi. Sei iraniani sono stati invece messi a morte a Dammam, nell’est del paese, per traffico di droga. Lo ha reso noto lo scorso 1° gennaio il Ministero dell’Interno in un comunicato, senza però specificare la data di esecuzione.
Cina – Due persone sono state messe a morte il 20 gennaio. Fan Weiqiu, 62 anni, condannato per aver provocato la morte di 35 persone lanciandosi con la sua auto contro una folla fuori da uno stadio nella città meridionale di Zhuhai, in quello che è l’attacco più mortale in Cina dal 2014. Secondo le autorità, Fan era arrabbiato e insoddisfatto per il suo accordo di divorzio. La seconda esecuzione è quella di Xu Jiajin, 21 anni, condannato per aver ucciso otto persone e ferendone 17 in un accoltellamento nella sua scuola professionale, nella città orientale di Wuxi. Le condanne erano state emesse a dicembre dai Tribunali intermedi del popolo e in seguito approvate dalla Corte Suprema del Popolo. Il presidente cinese Xi Jinping ha esortato le autorità locali ad adottare misure per prevenire questo tipo di attacchi, noti come “crimini di vendetta sulla società” e in forte aumento negli ultimi anni. Secondo alcuni osservatori, tali crimini sarebbero legati a una crisi sociale dovuta alla frustrazione per una economia in rallentamento, una elevata disoccupazione e una mobilità sociale in calo. Il 21 gennaio, invece, un’Alta corte ha confermato la condanna a morte di Wang Haowen, riconosciuto colpevole di traffico di minori. L’uomo è stato accusato di aver rapito e poi ‘rivenduto’ 14 bambini dal 2001 al 2014.
Iran – Almeno 997 persone sono state messe a morte nel 2024, secondo il rapporto di Iran News Update, ma si teme che il numero reale possa essere più alto. a causa del ricorso alle esecuzioni segrete da parte delle autorità iraniane. Un dato in aumento rispetto al 2023 quando si registrarono oltre 850 esecuzioni. La maggior parte delle esecuzioni ha riguardato reati legati alla droga, ma sono stati messi a morte anche dissidenti e persone collegate alle proteste del 2022. Cresce anche il numero delle esecuzioni di donne: almeno 31, secondo Iran Human Rights, un dato scioccante che rivela “il carattere brutale e disumano della pena di morte, e dimostra fino a che punto la discriminazione e la disuguaglianza fra i sessi siano radicate nel sistema giudiziario”, ha dichiarato il direttore dell’IHR, Mahmoud Amiry-Moghaddam. Dietro le condanne per omicidio si nascondono spesso “violenze familiari e abusi sessuali”, spiega IHR come nel caso di Zahra Esmaili, costretta a un sposare un funzionario del Ministero dell’Intelligence che l’aveva violentata e messa incinta. Nel 2007, Esmaili aveva ucciso il marito per le violenze subìte da lei e i suoi figli. La famiglia dell’uomo aveva preteso la condanna a morte e la madre aveva ottenuto di eseguire personalmente la pena.
Singapore – Undici organizzazioni, tra le quali Amnesty International, hanno condannato in una dichiarazione congiunta le recenti restrizioni imposte dal governo di Singapore agli attivisti del Transformative Justice Collective (TJC), un collettivo espressione della società civile che si oppone attivamente alla pena di morte e sostiene i diritti umani. Nelle ultime settimane, TJC è stato bersaglio di una serie di ‘ordinanze’ che rappresentano “un’indebita restrizione del diritto alla libertà di espressione”. L’ultima, lo scorso 20 dicembre, colpisce il sito web del collettivo e gli account dei social media accusati di aver pubblicato “molteplici falsità”, stabilendo che nessun beneficio finanziario o materiale possa essere ricevuto da TJC per la gestione delle piattaforme online. Il vero obiettivo delle autorità, sostengono le organizzazioni, è quello di creare “un clima di paura e soffocare il dibattito sull’uso della pena di morte a Singapore”. Intanto, il 23 gennaio, Syed Suhail bin Syed Zin, 48 anni, colpevole di traffico di droga, è stato messo a morte per impiccagione. L’uomo era stato trovato in possesso di non meno di 38,84 grammi di diamorfina, o eroina pura, e per questo condannato alla pena di morte il 2 dicembre 2015.
Usa – Marion Bowman, 44 anni, condannato nel 2002 per aver ucciso l’anno prima l’amica del liceo Kandee Martin, è stato messo a morte il 31 gennaio in una prigione di Columbia, capitale della Carolina del Sud. La vittima 21enne era stata colpita e messa nel bagagliaio della sua auto, che era stata poi data alle fiamme. Bowman, che all’epoca aveva 20 anni, ha ammesso di aver venduto droga alla vittima ma ha negato ogni coinvolgimento nell’omicidio. Ma come spesso accade nei casi di morte negli USA, a incriminarlo è stata la testimonianza di due complici, convinti a collaborare alle indagini in cambio della promessa di uno sconto di pena. Nel loro caso, sono stati anche più fortunati, perché i loro casi sono stati archiviati. Gli avvocati di Bowman hanno sostenuto che durante il processo è stata nascosta alla giuria la confessione di uno dei due complici di aver materialmente usato la pistola che uccise la ragazza e che la difesa di Bowman – nel processo che gli costò la pena capitale – fu inefficace e usò persino espressioni razziste nei confronti del proprio cliente. Ha trascorso quasi 140 giorni in attesa dell’esecuzione in una cella d’isolamento più stretta dell’apertura delle sue braccia; ha presentato numerosi ricorsi per chiedere di ritardare e di far annullare la sua esecuzione tramite iniezione letale a causa del suo peso (180 kg) e delle potenziali complicazioni che avrebbe potuto causare. Ma i giudici gli hanno concesso solo di poter optare per la sedia elettrica o per la fucilazione. La Carolina del Sud, dopo una pausa di 13 anni, ha ripreso le esecuzioni nel 2024.
4 gennaio – Aaron Brian Gunches, condannato per un omicidio nel 2002, ha chiesto alla Corte suprema dello Stato di saltare le formalità legali e di anticipare l’esecuzione programmandola per metà febbraio. Gunches, che non è un avvocato ma si rappresenta da solo, ha detto che la sua condanna a morte è “in ritardo”. Due anni fa, l’uomo aveva chiesto alla Corte Suprema dell’Arizona di emettere il mandato di esecuzione, affermando che la giustizia poteva essere fatta e che le famiglie delle vittime potevano chiudere i conti.
15 gennaio – L’Alta Corte dell’Orissa, in India, ha commutato in ergastolo le condanne a morte di nove persone per aver ucciso nel 2016 tre membri di una famiglia, tra cui due donne, con l’accusa di praticare la stregoneria. Sia le vittime che gli imputati abitavano nel villaggio di Kitum, nel distretto di Rayagada. I giudici dell’Alta Corte hanno ritenuto che la pena di morte non fosse giustificata in questo caso, stabilendo che l’ergastolo fosse più appropriato. I condannati resteranno in carcere per il resto della loro vita senza alcuna possibilità di remissione o ulteriore commutazione.
19 gennaio – Un tribunale iraniano ha condannato a morte in appello il popolare rapper Amir Hossein Maghsoudloo, accusato di “blasfemia”. Secondo quanto riportato dal giornale riformista Etemad sul suo sito web, “la Corte Suprema ha accettato il ricorso del pubblico ministero” contro una precedente condanna a cinque anni di carcere condannando “questa volta l’imputato alla pena di morte per insulti al profeta Maometto”. Il 37enne musicista viveva a Istanbul dal 2018 prima che la polizia turca lo consegnasse all’Iran nel dicembre 2023. Da allora è in stato di detenzione.
24 gennaio – L’Indonesia ha firmato un accordo per il rimpatrio di Serge Atlaoui, un cittadino francese detenuto nel braccio della morte da quasi due decenni. L’uomo era stato condannato a morte nel 2017, dopo essere stato arrestato in un laboratorio per la produzione di droga alla periferia di Giacarta. L’uomo, padre di quattro figli e oggi 61enne e malato di cancro, si è sempre professato innocente, sostenendo di essere stato ingaggiato per installare macchinari in quello che credeva essere uno stabilimento per la produzione di acrilici. Aveva scritto al governo indonesiano chiedendo di scontare il resto della pena in Francia. L’accordo gli consentirà di tornare a casa il 4 febbraio.
25 gennaio – Un tribunale della città pachistana di Rawalpindi ha condannato a morte quattro persone, tutte musulmane, accusate di blasfemia per aver offeso figure sacre islamiche o il Corano su Facebook e altre piattaforme di social media. Gli imputati hanno il diritto di presentare ricorso contro il verdetto e la pena capitale non sarà eseguita senza la conferma dell’Alta corte. L’avvocato difensore ha criticato la decisione del tribunale e la mancanza di prove da parte delle autorità inquirenti.
Bangladesh – Il 28 gennaio 2025 l’Alta corte ha commutato in ergastolo le condanne a morte inflitte a due uomini giudicati colpevoli, nel 2017, dello stupro e dell’omicidio di una studente universitaria.
India – Il 29 gennaio 2025 ha Corte suprema ha prosciolto dall’accusa, per insufficienza di prove e testimonianze non credibili, un uomo che era stato precedentemente condannato a morte da un tribunale di Bombay per lo stupro e l’omicidio di una donna, avvenuto nel 2014.
Malesia – Il 13 gennaio 2025 la Corte federale ha commutato in 40 anni di carcere e una serie di frustate la condanna a morte di K. Sathiaraj, che nel 2019 era stato condannato a morte per omicidio.
Pakistan/1 – Il 24 gennaio 2025 l’Alta corte ha commutato in ergastolo le condanne a morte di due agenti di polizia che nel 2021 erano stato giudicati colpevoli dell’omicidio di un uomo al termine di un inseguimento in auto dopo che questi non si era fermato a un controllo dei documenti.
Pakistan/2 – Il 28 gennaio 2025 le famiglie delle vittime di due omicidi avvenuti nel 2014 hanno perdonato due condannati a morte 24 ore prima dell’esecuzione. All’epoca dei delitti, i due colpevoli avevano rispettivamente 17 anni e mezzo e 18 anni.
Taiwan – Il 21 gennaio 2025 l’Alta corte ha commutato in ergastolo la condanna a morte di Yang-ju, giudicato colpevole di duplice omicidio nel 2015.
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