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Il 2020 sarà un anno molto importante per tutte le persone che hanno a cuore i diritti umani.
Ogni volta che scoppia un conflitto, per le popolazioni civili inizia il terrore ma per i venditori di armi cominciano i guadagni.
Ogni bambino che muore è una pallottola o una bomba da ricomprare. Anche nel 2020 chiederemo il rispetto degli embarghi internazionali, dei trattati globali sul commercio delle armi e, per non andare troppo lontano, della legislazione e della Costituzione italiana.
La domanda che ci facciano da alcuni anni non è “se” la pena di morte verrà abolita ma “quando”.
All’inizio del 2020 il numero dei paesi che ancora applicano la pena di morte è uguale a quello dei paesi che l’avevano abolita nel 1961, anno della fondazione di Amnesty International. Ma vogliamo che quel numero arrivi a zero. Prima possibile. Il posto per la pena di morte, nel XXI secolo, è lo scantinato della storia.
Siamo nel pieno della più grave violazione transgenerazionale dei diritti umani.
A pagarne le conseguenze sono coloro che meno hanno colpa, a ignorarla coloro che potrebbero fare di molto di più, a finire in galera o essere ridicolizzati solo coloro che s’impegnano concretamente.
Noi staremo sempre dalla loro parte, chiedendo misure urgenti per contrastare questa spaventosa emergenza.
Chi odia vive male, ma costringe a vivere male anche i bersagli dell’odio.
Con tutti i nostri strumenti (di attivismo, di azione giudiziaria e di comunicazione) c’impegneremo ancora di più per contrastare il discorso d’odio e a mettere in guardia sulla fragilità del confine che lo separa dal crimine d’odio.
Il nostro è un piano ambizioso: cambiare la narrazione, far rientrare nel vocabolario giusto parole che spesso finiscono nel codice penale.
Vorremmo lasciarci alle spalle decenni di “fortezza Europa”, di “muri difensivi”, di miliardi di euro destinati alla violazione dei diritti fondamentali.
Ormai anche i commentatori più moderati lo dicono: la migrazione non è un pericolo, ma un bisogno.
Un primo passo per affermare che la libertà di movimento è un diritto, così come lo è quello di chiedere protezione dalla guerra, dal terrore e dalla persecuzione.