Omar El Qattaa/Amnesty International
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Mentre lo tsunami del 7 ottobre 2023 continua a far sentire i suoi imprevedibili scossoni in tutto il Medio Oriente, in particolare in Siria e nel vicino Libano, il Mediterraneo orientale emerge come un’area caratterizzata da instabilità e conflitti che spingono masse di persone verso l’Europa. Allo stesso tempo, le tensioni geopolitiche favoriscono la radicalizzazione di giovani, con episodi di violenza politica che rischiano di estendersi nella regione nei paesi della diaspora. Questa realtà si inserisce nel conflitto globale in corso con ramificazioni regionali e locali. Il Mediterraneo è infatti il crocevia di interessi strategici contrapposti, terreno di scontro tra due blocchi di potere. Da un lato, l’asse statunitense-israeliano, che mira a garantire il controllo del corridoio tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano, attraverso il Mediterraneo e il mar Rosso. Dall’altro, l’asse iraniano, in parte sostenuto dalla Russia, che cerca di proiettare la propria influenza verso le coste mediterranee attraversando l’altopiano iranico e la Mesopotamia. In questo contesto, i territori tra Siria, Libano e Israele rappresentano la faglia di attrito principale.
Qui, Hezbollah e Hamas, fortemente indeboliti, continuano a opporsi al progetto israelo-statunitense, alimentando una dinamica conflittuale destinata a proseguire, anche in presenza di eventuali cessate il fuoco. La guerra continua anche in Siria, nonostante lo storico cambio di potere. E continuano le sofferenze alle popolazioni dell’area, dove la fragilità delle istituzioni locali e della comunità internazionale rende i civili particolarmente esposti ai ripetuti cicli di violenza armata. Per Israele, l’obiettivo strategico è stato duplice: eliminare la minaccia iraniana in Siria e di Hezbollah in Libano e ridisegnare gli equilibri geopolitici del Libano e della stessa Siria. Non si esclude che questa guerra rappresenti anche un’opportunità per espandere nel più lungo termine il controllo territoriale israeliano nel sud del Libano e nel sud-ovest della Siria. Hezbollah, dal canto suo, combatte una guerra di sopravvivenza, ma una sconfitta militare non segnerebbe la fine del suo impatto. L’ideologia che lo anima resterà un riferimento per una comunità sciita in cerca di protezione e riscatto, con una resistenza anti-israeliana sempre più radicata e violenta.
In Siria, la transizione è ancora un cantiere a cielo aperto e rimangono forti le pressioni politiche e militari delle potenze regionali e internazionali per mantenere il paese mediterraneo debole e frammentato. Il Mediterraneo si conferma il fulcro di un conflitto che non è solo militare, ma anche culturale e geopolitico. Le sue dinamiche influenzeranno il Medio Oriente, l’Europa e l’intero assetto globale negli anni a venire.
A cura di Lorenzo Trombetta, giornalista per il numero 1 del trimestrale I Amnesty.