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In occasione del quarantesimo anniversario di uno dei peggiori disastri industriali del mondo, Amnesty International ha denunciato la cinica e clamorosamente inadeguata risposta alle vittime e alle persone sopravvissute alla tragedia avvenuta il 2 dicembre a Bhopal, in India: una tragedia resa possibile, secondo l’organizzazione per i diritti umani, dal razzismo ambientale.
Quarant’anni fa, una fuga mortale di gas da un impianto di produzione di pesticidi causò la morte di almeno 22.000 persone. Da allora, Bhopal è stata una “zona di sacrificio” per l’azienda chimica statunitense Union Carbide Corporation (Ucc) e per quella che ne he poi assunto la proprietà, la Dow Chemical Company (Dow), così come per le autorità statunitensi e indiane. Mezzo milione di persone, attraverso successive generazioni, continuano a soffrirne le conseguenze.
“Ben poco è cambiato negli ultimi 40 anni. Dinamiche di potere ineguali hanno negato giustizia alle vittime, per lo più appartenenti a comunità minoritarie, a basso reddito e marginalizzate. Nel frattempo, i responsabili, specialmente i giganti industriali statunitensi, hanno continuato ad aggirare le loro evidenti responsabilità. Le autorità statunitensi e indiane non hanno chiamato a rispondere tutti i responsabili di quell’oltraggioso crimine di negligenza industriale”, ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Imprese e diritti umani di Amnesty International.
“I gruppi delle persone sopravvissute e coloro che li sostengono continuano a portare avanti una lotta per la giustizia di incredibile ispirazione attraverso azioni legali, ricerche scientifiche e assistenza medica in assenza di un sufficiente sostegno statale e aziendale. La loro è una storia di grinta e resilienza da cui imparare, da onorare e da ricordare in questo anniversario”, ha aggiunto Dummett.
Migliaia di tonnellate di rifiuti tossici restano sepolte nel sottosuolo dell’impianto abbandonato e nei suoi dintorni, producendo un inquinamento acquifero in espansione. Questo è un chiaro esempio di una “zona di sacrificio”, un’area così gravemente inquinata o contaminata da produrre conseguenze dimostrabili e devastanti sulla salute delle persone che vi abitano.
Nel 2001 Dow, una delle più grandi aziende chimiche del mondo, ha acquisito la Ucc che era proprietaria di maggioranza dell’impianto di Bhopal all’epoca del disastro del 1984. Dow ha preso il pieno controllo degli impianti e sugli asset economici della Ucc e, di conseguenza, ha anche ereditato le responsabilità legali di quest’ultima sebbene abbia sempre preso le distanze dalle rivendicazioni delle persone sopravvissute.
Nel 1989 la Ucc stipulò col governo dell’India un accordo sui risarcimenti palesemente iniquo e inadeguato, raggiunto senza il consenso delle persone sopravvissute. Le azioni di lobby industriali e le pressioni delle amministrazioni Usa hanno fatto sì che cittadini e aziende statunitensi responsabili del disastro siano rimasti alla larga dalla giustizia.
In precedenza, sempre nel 2024, Amnesty International aveva pubblicato il rapporto “Bhopal: 40 anni d’ingiustizia”, in cui mostrava come un radicato razzismo ambientale, attraverso una discriminazione sistemica e intergenerazionale, avesse favorito la mancata assunzione di responsabilità da parte dello stato e delle aziende e l’inesistenza di un programma complessivo di riparazioni. Le repliche delle aziende erano state pubblicate nell’appendice del rapporto.
Per razzismo ambientale s’intende una serie di violazioni dei diritti umani, tra loro connesse, che comprendono l’impatto negativo della degradazione dell’ambiente sul diritto alla vita, alla salute, a un adeguato livello di vita, all’istruzione e ad altri diritti, l’interferenza nel diritto a un ambiente pulito, salubre e sostenibile e l’ulteriore violazione del diritto alla libertà dalla discriminazione.
L’indifferenza e il disprezzo con cui le persone sopravvissute e quelle loro eredi sono state trattate sin dall’inizio, la mancanza di una concreta ed effettiva assunzione di responsabilità da parte dello stato e degli attori economici sia per la fuoriuscita di gas che per la contaminazione ancora in corso, così come la mancanza di un programma di riparazioni tale da porre rimedio ai danni passati e presenti, sono stati favoriti da questo radicato razzismo ambientale.
Pertanto, Amnesty International ha chiesto ai detentori delle azioni della Dow di interrompere le relazioni con l’azienda e di considerare l’ipotesi di ritirare i loro investimenti se questa non svolgerà azioni rapide e significative per venire incontro alla sofferenza delle persone sopravvissute attraverso risarcimenti adeguati, una valutazione della contaminazione in corso e una bonifica.
Amnesty International ha altresì chiesto al governo indiano di continuare a percorrere vie legali contro la Dow a nome delle vittime e di rimediare a ogni mancata azione nei confronti delle persone sopravvissute, compresi gli ingiusti dinieghi di risarcimento.
“Quarant’anni dopo la tragedia di Bhopal il minimo che i sopravvissuti e le loro famiglie meritano si chiama giustizia. Invece, la Dow continua a giocare un trito e ritrito ruolo aziendale. Continuare a negare le responsabilità non cancellerà mai l’orrore della tragedia di Bhopal, prolungherà la sofferenza dei sopravvissuti e ostacolerà le riparazioni”, ha concluso Dummett.
Intorno alla mezzanotte del 2 dicembre 1984, la fuoriuscita di circa 40 tonnellate di isocianato di metile dall’impianto di pesticidi di Bhopal, allora di proprietà della statunitense Union Carbide Corporation, uccise rapidamente migliaia di persone che vivevano in alloggi informali nei dintorni. Si stima che oltre 22.000 persone siano morte prematuramente come conseguenza diretta dell’esposizione al gas. Ancora oggi si continua a morire.
Oltre 500.000 persone sono rimaste ferite o hanno riportato danni permanenti alla salute riproduttiva anche a causa dell’impatto intergenerazionale dell’esposizione al gas e della contaminazione delle fonti d’acqua da parte dei residui tossici lasciati sul posto.
Amnesty International aveva pubblicato rapporti in occasione del ventesimo e del trentesimo anniversario del disastro di Bhopal.