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Sul palco di Voci per la libertà Diodato, con “La mia terra”, ha vinto il Premio Amnesty 2024: una canzone sui problemi di Taranto che è anche un messaggio universale per le persone costrette a fuggire dalla propria terra
Come nasce il brano “La mia terra”?
Nasce da considerazioni fatte negli anni, dalla mia esperienza di vita nella città di Taranto e anche dalla collaborazione con Michele Riondino, un amico con cui lotto da anni per la nostra terra, e che ha fatto il suo esordio alla regia con “Palazzina Laf”. Gli ho detto, la canzone la faccio io. Ho capito subito che era un’occasione perché ho dentro questa canzone da anni. La questione tarantina è stata spesso relegata a una pura problematica lavorativa, occupazionale, nascondendo il vero nocciolo della questione e cioè i diritti umani. È un grande onore questo premio, perché lo ricevo da persone che hanno fatto dell’impegno una ragione di vita.
Questa canzone parte da un luogo simbolico ma ci porta a riflettere su diritti universali: il diritto a spostarsi, alla salute, a vivere in un luogo sicuro…
Ho voluto parlare del mito della fondazione di Taranto che è in fondo un viaggio nel Mediterraneo, qualcosa di molto attuale. Durante le guerre a Sparta, venivano lasciati nella città dei giovani a proteggerla e per continuare la stirpe. Al ritorno dei soldati però questi giovani venivano esiliati. Uno di loro, con la moglie partì alla ricerca della propria terra, di un porto sicuro… e fondò Taranto.
Tu sei un artista che si espone su molti temi, ma per molti i cantanti dovrebbero solo cantare. Che ne pensi?
È ridicolo, prima di tutto siamo cittadini. Fare politica e partecipare alla vita sociale si può fare in tanti modi, anche solo parlare di amore in un certo modo, permettere alle persone di immedesimarsi in altre storie è un atto politico.
Veniamo alla situazione dei diritti italiana, quali sono per te le cause più importanti?
Quando ero bambino, dopo la guerra del Golfo, speravamo che sarebbe andata meglio e invece no. Credevo che il cambiamento climatico riguardasse le generazioni future e invece lo sto vedendo accadere. È un periodo buio, anche per il nostro paese, e mi spaventa perché non vedo quella rabbia che nasce in questi periodi storici e che porta alla creazione. Le piazze vuote, le persone che non vanno a votare, è triste la sensazione che ci sia quasi una noia: la speranza la ripongo nelle nuove generazioni, nei ragazzi che si danno da fare.
Articolo a cura di Francesca Corbo, ufficio del portavoce, per il numero 4 del trimestrale I Amnesty.