Tempo di lettura stimato: 6'
Continua il lavoro di osservazione indipendente e denuncia del Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), di nuovo in Albania per monitorare il trasferimento e trattenimento di persone migranti dai CPR italiani alla struttura di Gjader, dopo i cambiamenti intervenuti con il dl 37/2025.
Dal 16 al 18 aprile una delegazione del TAI è tornata nella struttura di Gjader, insieme a parlamentari ed europarlamentari dell’opposizione. I colloqui con le persone trattenute, l’accesso ai luoghi di detenzione e gli incontri con le autorità presenti sul posto confermano le criticità già emerse e denunciate dal TAI, e dimostrano ancora una volta che il modello messo in atto con il Protocollo Italia-Albania è fallimentare sia dal punto di vista della tutela dei diritti umani sia da quello dell’uso delle risorse pubbliche, oltre a non avere alcun impatto sulla gestione dei flussi migratori.
Continua a esserci totale mancanza di trasparenza rispetto ai criteri con cui sono state selezionate le persone trasferite.
La delegazione del TAI ha incontrato persone con background molto diversi: individui con alle spalle un periodo di detenzione carceraria a cui è seguito il trattenimento in CPR italiano, uomini intercettati sul luogo di lavoro privi di permesso di soggiorno, persone con familiari in Italia. Non è stato possibile visionare alcun documento indicante i criteri di selezione.
Delle 40 persone trasferite l’11 aprile, già tre sono tornate in Italia, per incompatibilità al trattenimento sulla base di motivazioni sanitarie e per sospensione della decisione di rimpatrio.
Il governo continua a spostare persone da un paese all’altro, incurante dell’impatto che questa prassi crudele può avere sulla vita degli individui. Si evidenzia che una revisione delle idoneità alla vita ristretta avrebbe potuto evitare a persone già vulnerabili – e che quindi non dovrebbero essere sottoposte a trattenimento, in Albania come in Italia – un’ulteriore detenzione.
Le idoneità, che i membri della delegazione TAI non hanno potuto vedere, secondo quanto riferito dalle autorità presenti e dall’ente gestore risulterebbero datate e non aggiornate prima del trasferimento.
Secondo le informazione raccolte dalla delegazione, la prima valutazione sanitaria avviene da remoto, sulla base della documentazione della persona, e solo se ravvisate criticità l’autorità sanitaria esterna procederebbe a una visita interna alla struttura di Gjader.
Tra le persone presenti, alcune avevano problematiche di tipo sanitario presenti già prima del trasferimento e ciononostante trasportate in Albania. Per due di loro è stata necessario il trasporto in struttura ospedaliera albanese, secondo il protocollo firmato tra il ministero della Salute italiana e quello albanese e di cui hanno dato informazione le autorità presenti nel centro. Appare estremamente critico il trasferimento e trattenimento di individui con tali situazioni pregresse, così come la mancanza di trasparenza sui costi di tale accordo interministeriale.
In pochi giorni di attivazione del decreto 37/2025 sono già 20 gli eventi critici riportati nel registro. Tre persone hanno compiuto atti di autolesionismo.
Il diritto alla difesa è decisamente compromesso, in primis dalla distanza fisica tra gli avvocati e gli assistiti, che vengono privati dei telefoni cellulari e a cui viene permesso di mettersi in contatto con i legali e i familiari solo attraverso telefoni messi a disposizione dall’ente gestore con tempi contingentati.
Guardando alla struttura degli spazi detentivi, si rileva che le finestre delle stanze dove vivono le persone trattenute presentano sbarre e le porte hanno codici per l’apertura dall’esterno. Il cibo, gestito dall’ente gestore Medihospes tramite catering esterno, viene consegnato attraverso una fessura nella porta e consumato all’interno delle stanze.
Tutte queste criticità si inseriscono in un impianto generale che resta problematico: persone già in stato di detenzione amministrativa in Italia, all’interno di un sistema che presenta già fortissime criticità, sono state trasferite forzatamente e senza alcuna informazione fuori dai confini nazionali, portate in Albania per mezzo di navi militari con le mani legate da fascette di plastica durante tutto il viaggio. Come già evidenziato dal TAI, tale impianto mina il diritto alla difesa, all’unità familiare e alla libertà personale, e risulta lesivo, nelle modalità di trasferimento, della dignità umana.
Mentre il governo italiano insiste sulla bontà dell’operazione che descrive come un modello per tutta l’Unione Europea, la realtà è che il protocollo Italia-Albania, già decisamente critico nella sua prima destinazione d’uso, ora si configura come un sistema dai contorni nebulosi e opachi, privo di trasparenza informativa, lesivo dei diritti umani.