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Il 5 gennaio 2025, il ministro della Giustizia della Repubblica Democratica del Congo, Constant Mutamba, ha annunciato che oltre 170 persone, presumibilmente legate a gruppi criminali comunemente noti come “Kuluna” o “banditi”, sono state trasferite dalla capitale Kinshasa alla prigione di Angenga, nel nord-ovest del paese, con l’obiettivo di essere messe a morte.
Mutamba ha dichiarato che le persone trasferite hanno un’età compresa tra i 18 e i 35 anni e che sarebbero coinvolti in episodi di violenza urbana. Le autorità hanno affermato che riprendere le esecuzioni contribuirebbe a combattere le bande criminali urbane, una tesi priva di fondamento e di prove.
“L’annuncio del trasferimento di queste persone è sconcertante. Temiamo che le autorità stiano preparando esecuzioni di massa imminenti, in un contesto di totale assenza di informazioni affidabili sulla situazione delle persone condannate a morte”, ha dichiarato Sarah Jackson, vicedirettrice di Amnesty International per l’Africa orientale e del sud.
“Il presidente Félix Tshisekedi deve immediatamente e pubblicamente fermare ogni piano in atto per mettere a morte queste persone, sia nella prigione di Angenga che altrove. Inoltre, il parlamento dovrebbe approvare una moratoria sulle esecuzioni, in vista dell’abolizione completa della pena di morte”, ha aggiunto Sarah Jackson.
“Le autorità devono anche porre fine ai trasferimenti di massa verso prigioni remote, come Angenga appunto, dove in passato decine di persone detenute sono morte di fame e malattie. Chiunque venga trasferito dal proprio luogo di detenzione dovrebbe essere trasferito in una struttura facilmente raggiungibile da avvocati, familiari e organizzazioni per i diritti umani e la loro ubicazione dovrebbe essere comunicata a tutti i soggetti interessati”, ha concluso Jackson.
Nel marzo 2024, il governo della Repubblica Democratica del Congo aveva annunciato l’intenzione di riprendere le esecuzioni dopo una pausa di due decenni. Da allora, le condanne a morte emesse da tribunali militari sono aumentate vertiginosamente. Queste condanne spesso derivano da processi iniqui, in particolare contro presunti membri di bande criminali e gruppi armati.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in ogni circostanza.