Hayri Tunç
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Amnesty International si è unita ad altre 11 organizzazioni nel chiedere alle autorità turche di cessare immediatamente gli attacchi contro i manifestanti pacifici, di smettere di prendere di mira giornalisti e canali di informazione e di porre fine alla repressione della libertà di parola online.
27 marzo 2025
Article 19 e altre 11 organizzazioni esprimono forte preoccupazione per la recente intensificazione della repressione da parte del governo nei confronti della libertà di espressione e del diritto di riunione pacifica, in seguito all’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu. Decine di migliaia di persone continuano a prendere parte alle manifestazioni di massa, perlopiù pacifiche, in tutta la Turchia, nel più grande movimento di protesta dell’ultimo decennio. Le proteste, iniziate nelle principali città, si sono diffuse in tutto il paese, mentre la polizia ha risposto con l’uso illegale e indiscriminato della forza per disperdere la folla. Anche i giornalisti sono soggetti a gravi restrizioni, tra cui arresti e aggressioni fisiche, e le piattaforme di social media sono state sottoposte a pressioni per censurare le informazioni sugli eventi in corso.
Il governo deve porre immediatamente fine agli attacchi contro i manifestanti pacifici, smettere di prendere di mira giornalisti e testate giornalistiche e interrompere la repressione della libertà di espressione online. Chiediamo inoltre alle piattaforme social di adottare misure urgenti per ripristinare l’accesso agli account bloccati che contengono contenuti protetti e di garantire la piena accessibilità dei loro servizi.
La Turchia sta attraversando una delle crisi socio-politiche più gravi degli ultimi anni. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, avvenuta il 19 marzo con l’accusa di “corruzione” e “favoreggiamento del terrorismo”, nell’ambito di un’operazione che ha portato all’emissione di ordini di arresto per oltre 100 persone. İmamoğlu è stato posto in detenzione preventiva il 23 marzo, lo stesso giorno in cui i membri del suo partito lo hanno nominato candidato principale dell’opposizione in una votazione simbolica per le elezioni presidenziali del 2028. È stato rimosso dall’incarico insieme ai sindaci dei distretti di Şişli e Beylikdüzü, anch’essi sotto accusa.
Secondo il ministro dell’Interno, al 26 marzo, 1879 persone erano state arrestate durante le proteste. Le manifestazioni sono state represse con un uso ingiustificato e illegale della forza: i manifestanti sono stati picchiati con manganelli e presi a calci mentre erano a terra. Gli agenti delle forze di sicurezza hanno usato indiscriminatamente spray al peperoncino, gas lacrimogeni, proiettili di plastica e idranti, causando numerosi feriti. Il 27 marzo, il ministro ha inoltre riferito che 150 agenti di polizia sono rimasti feriti durante le proteste, ma non ha fornito alcuna informazione sul numero di manifestanti feriti.
La repressione colpisce anche altre forme di protesta oltre alle manifestazioni di piazza. Il 26 marzo, i membri del direttivo del sindacato degli insegnanti Eğitim-Sen sono stati posti agli arresti domiciliari in attesa di giudizio con l’accusa di “istigazione a commettere reati” in seguito alla loro decisione di sospendere il lavoro il 25 marzo in solidarietà con gli studenti universitari, che sono stati tra i protagonisti delle proteste. Il rappresentante del sindacato presso l’Università di Istanbul è stato arrestato.
Dal 19 marzo, a Istanbul, è in vigore un divieto assoluto di manifestare, esteso a Smirne e Ankara dal 21 marzo. Il governatore di Istanbul ha inoltre emesso una disposizione che vieta l’ingresso e l’uscita dalla città a “individui, gruppi e veicoli potenzialmente coinvolti in attività illegali, individualmente o collettivamente”. Non è chiaro come questa misura venga applicata.
Ricordiamo alle autorità turche che, in base al diritto internazionale dei diritti umani, hanno l’obbligo di rispettare e garantire il diritto di ogni persona alla libertà di riunione pacifica. Eventuali restrizioni a questo diritto devono essere definite con precisione dalla legge, perseguire un obiettivo legittimo e risultare necessarie e proporzionate a tale obiettivo. I divieti assoluti delle proteste sono sproporzionati e ingiustificabili. Inoltre, condanniamo fermamente l’uso della forza contro i manifestanti pacifici. L’uso della forza da parte della polizia deve essere strettamente necessario e proporzionato: deve essere impiegata solo la quantità minima di forza indispensabile, e, chi ne fa uso, deve essere sempre chiamato a risponderne. Chiediamo alle autorità di garantire che qualsiasi accusa di uso illegale della forza e di altre violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, comprese violenze di genere, torture e maltrattamenti inflitti ai manifestanti, sia oggetto di un’indagine efficace, imparziale e tempestiva.
La repressione delle proteste di massa è stata accompagnata da un’intensificazione degli attacchi e delle pressioni nei confronti dei media indipendenti e dei giornalisti. Almeno 11 giornalisti locali sono stati arrestati a Istanbul e a Smirne per aver documentato le proteste; sette di loro sono stati posti in detenzione il 25 marzo con l’accusa di aver violato la Legge sulle riunioni e le manifestazioni, per poi essere scarcerati in appello il 27 marzo, in attesa di processo. Almeno 10 giornalisti locali sono stati aggrediti fisicamente dalla polizia mentre seguivano le proteste a Istanbul e, secondo quanto riferito, un giornalista è stato aggredito dai manifestanti.
Anche i media internazionali sono stati colpiti dalla repressione. Il 27 marzo la Bbc ha riferito che il suo corrispondente Mark Lowen, presente a Istanbul per coprire le proteste, è stato arrestato nel suo hotel e successivamente espulso con la motivazione di essere una “minaccia all’ordine pubblico”.
La copertura degli eventi è ulteriormente limitata dal Consiglio supremo della radio e televisione della Turchia (Radyo ve Televizyon Üst Kurulu – RTÜK). Il presidente del RTÜK, Ebubekir Şahin, ha invitato i media televisivi, i conduttori e i commentatori a garantire che i loro resoconti “rimangano privi di pregiudizi politici”, avvertendo che il mancato rispetto di questa direttiva comporterà sanzioni massime, inclusa la revoca della licenza. Il 21 e 27 marzo, il RTÜK ha dato seguito a queste minacce emettendo sanzioni amministrative e sospensioni temporanee delle trasmissioni fino a 10 giorni nei confronti delle emittenti Halk Tv, Scz Tv, Tele 1 e Now TV.
Esortiamo la Turchia, e in particolare il RTÜK, a porre immediatamente fine a queste violazioni della libertà di stampa e a creare un ambiente che consenta ai media di fornire al pubblico le informazioni necessarie e di riportare gli eventi senza pressioni da parte dello Stato. Intimidire i giornalisti affinché diffondano esclusivamente contenuti approvati dal governo mina i principi fondamentali del giornalismo indipendente. Ribadiamo inoltre che giornalisti e altri osservatori devono essere protetti e poter riferire liberamente su questioni di interesse pubblico, compreso il monitoraggio delle azioni delle forze dell’ordine, senza subire ritorsioni o forme di intimidazione.
I social media rappresentano uno degli ultimi canali attraverso i quali le persone in Turchia possono accedere a voci indipendenti e dove le persone attiviste e i giornalisti possono esprimere le proprie opinioni in modo relativamente libero. In risposta alle proteste di massa, le autorità hanno rapidamente imposto severe restrizioni ai social media e alle applicazioni di messaggistica, ordinando alle piattaforme di bloccare i contenuti relativi alle proteste.
Le principali piattaforme di social media e le applicazioni di messaggistica hanno subito una limitazione della larghezza di banda a partire dalle 7 del mattino (ora locale) del 19 marzo, in concomitanza con gli arresti del sindaco e di altre persone. Le restrizioni sembrano essere state limitate a Istanbul e sono durate 42 ore, fino al 21 marzo. Non è stata fornita alcuna spiegazione riguardo ai motivi di tali restrizioni né sul perché siano state revocate. Ai sensi della legge sulle comunicazioni elettroniche (legge n. 5809), tali restrizioni possono essere attuate dall’ Autorità turca per le telecomunicazioni e le tecnologie informatiche (Btk) su ordine della Presidenza in caso di pericolo imminente o minaccia alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico. Queste restrizioni amministrative hanno carattere temporaneo e devono essere esaminate dalla magistratura entro un massimo di 24 ore.
La Btk ha emesso centinaia di ordini di blocco per gli account social di giornalisti, organi di stampa, organizzazioni della società civile e difensori dei diritti umani, sulla base dell’articolo 8/A della legge n. 5651. La mancata conformità a tali ordini può comportare sanzioni gravi per le piattaforme di social media.
Sebbene risulti che molti account su X siano attualmente bloccati, la stessa piattaforma ha dichiarato di aver contestato “diversi ordini giudiziari […] per bloccare oltre 700 account”, tra cui quelli di testate giornalistiche, giornalisti e figure politiche. Il 26 marzo, X ha annunciato di aver presentato un ricorso individuale alla Corte costituzionale per contestare un ordine della Btk che imponeva il blocco di 126 account.
Le autorità devono astenersi dall’utilizzare mezzi legali ed extralegali per esercitare pressioni sulle piattaforme social affinché censurino contenuti online in violazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani, in particolare i contenuti di natura politica, che godono del massimo livello di protezione. La Turchia deve garantire un accesso libero e senza restrizioni a Internet e revocare tutti gli ordini illegali di blocco degli account social di chi esercita il diritto alla libertà di espressione per criticare le autorità.
Rinnoviamo il nostro appello alle piattaforme di social media affinché resistano alle pressioni politiche e si astengano dal limitare l’accesso a espressioni tutelate. Invece di accettare passivamente gli ordini di blocco, esortiamo le piattaforme a intraprendere tutte le azioni possibili per limitarne l’ambito e la durata, inclusa la contestazione della loro legittimità in sede giudiziaria. Le piattaforme dovrebbero inoltre garantire trasparenza nei confronti degli utenti coinvolti e del pubblico riguardo alle richieste governative di censura e alle misure adottate in risposta, nonché adottare tutte le misure necessarie per mantenere l’accesso alla piattaforma in caso di blocchi o limitazioni della larghezza di banda.
Firmatari:
ARTICLE 19
Amnesty International
European Federation of Journalists (EFJ)
Human Rights Watch
IFEX
International Federation of Journalists (IFJ)
Norwegian Helsinki Committee (NHC)
PEN America
PEN Sweden
South East Europe Media Organisation (SEEMO)
PEN International
Danish PEN