Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica (de facto), da più di due terzi dei paesi nel mondo.
La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione.
Oggi, più di tre quarti dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica.
Amnesty International ha registrato 1153 esecuzioni in 16 paesi nel 2023, segnando un aumento del 31% rispetto alle 883 registrate nel 2022. Questa cifra rappresenta il maggior numero di esecuzioni che Amnesty International ha registrato in quasi un decennio (dal 2015, quando sono state registrate 1.634 esecuzioni).
La Cina è rimasta il principale esecutore del mondo, ma la vera portata del suo uso della pena di morte rimane sconosciuta in quanto questi dati rimangono classificati come segreto di Stato. Il dato globale registrato da Amnesty International esclude le migliaia di esecuzioni che si ritiene siano state effettuate in Cina, così come quelle effettuate in Vietnam e in Corea del Nord, dove Amnesty International ritiene che si sia fatto ampio ricorso alla pena di morte.
Il maggior numero di esecuzioni registrate hanno avuto luogo in Cina (+1000), Iran (almeno 853), Arabia Saudita (172), Somalia (almeno 38) e Stati Uniti (24).
Le esecuzioni di donne sono avvenute in quattro paesi: Cina (+), Iran (24), Arabia Saudita (6) e Singapore (1).
Amnesty International ha registrato esecuzioni in 16 paesi, rispetto ai 20 paesi nel 2022.
Sono state registrate 508 esecuzioni per reati legati alla droga: 481 in Iran; 1 in Kuwait, 19 in Arabia Saudita; 5 a Singapore; e in Cina (+*). Il numero totale di 508 costituisce il 44% del totale a livello globale.
Almeno 8 esecuzioni pubbliche sono state registrate in Afghanistan (1+) e Iran (7).
In Iran, sono avvenute almeno 5 esecuzioni su persone che hanno commesso crimini quando avevano meno di 18 anni.
I seguenti metodi di esecuzione sono stati utilizzati nel 2023: decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione.
Almeno 2.428 nuove condanne a morte in 52 paesi sono state imposte nel 2023, rispetto alle almeno 2.016 in 52 paesi nel 2022.
A livello globale, almeno 27.687 persone sono state condannate a morte alla fine del 2023.
Alla fine del 2023, 113 paesi erano completamente abolizionisti e 144 in totale avevano abolito la pena di morte nella legge o nella pratica.
Ovunque la pena di morte sia applicata, il rischio di mettere a morte persone innocenti non può essere eliminato. Dal 1973 negli Usa sono stati rilasciati 167 prigionieri dopo che erano emerse nuove prove della loro innocenza. Alcuni di questi sono arrivati a un passo dall’esecuzione dopo aver trascorso molti anni nel braccio della morte.
In ognuno di questi casi sono emerse caratteristiche simili e ricorrenti: indagini poco accurate da parte della polizia, assistenza legale inadeguata, utilizzo di testimoni non affidabili e di prove o confessioni poco attendibili. Ma non solo. Negli Usa, purtroppo, sono diversi i casi di prigionieri messi a morte nonostante l’esistenza di molti dubbi sulla loro colpevolezza.
Il problema della potenziale esecuzione di un innocente non è solo limitato agli Usa.
Cheng Hsing-tse è stato prosciolto a Taiwan nel 2017 dopo sette procedimenti giudiziari e otto processi in appello. L’uomo ha trascorso 14 anni in stato di detenzione, di cui 10 nel braccio della morte. Nel 2016, Zang Aiyun è stato assolto dall’accusa di omicidio in Cina dopo 11 anni e 9 mesi di prigione. In Vietnam, Tran Van Them, 80 anni, è stato prosciolto da ogni accusa e liberato dal braccio della morte dopo 43 anni.
I trattati internazionali sui diritti umani vietano l’applicazione della pena di morte nei confronti di persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato. Sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici sia la Convenzione sui diritti dell’infanzia proibiscono tale pratica. Nonostante ciò, un piccolo numero di paesi al mondo continua a mettere a morte minorenni.
Queste esecuzioni rappresentano una percentuale molto bassa rispetto al numero totale di persone messe a morte nel mondo, ma il loro significato va ben oltre il semplice dato e chiama in causa l’impegno degli Stati a rispettare il diritto internazionale e le numerose forme di tutela ormai riconosciute dalla comunità internazionale a protezione dei diritti dei minorenni.
Dal 1990 abbiamo documentato 151 esecuzioni di minorenni in nove paesi: Arabia Saudita, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Usa, Sudan e Yemen.
Nel 2021 quattro persone sono state messe a morte per crimini avvenuti quando avevano meno di 18 anni: in Iran (3) e Yemen (1). Amnesty International ritiene che altre persone appartenenti a questa categoria si trovino nel braccio della morte alle Maldive, in Myanmar e Iran.
Negli Stati Uniti d’America, grazie anche alla campagna di Amnesty International, la Corte suprema Usa nel 2005 ha dichiarato incostituzionale l’applicazione della pena di morte per i minorenni all’epoca del reato, allineando in questo modo la legislazione agli standard internazionali riconosciuti.
Quasi tre quarti dei Paesi del mondo hanno abolito la pena di morte per legge o nella prassi. Al 31 dicembre 2022, i Paesi si dividevano nel seguente modo:
Totale abolizionisti per legge o de facto: 144
Di seguito sono riportati gli elenchi dei Paesi, suddivisi in quattro categorie: abolizionisti per tutti i reati, abolizionisti solo per i reati ordinari, abolizionisti de facto e mantenitori.
I PAESI ABOLIZIONISTI PER TUTTI I REATI
Paesi il cui ordinamento non prevede la pena di morte per alcun reato:
Albania, Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Azerbaigian, Belgio, Benin, Bhutan, Bolivia, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Burundi, Cambogia, Canada, Capo Verde, Ciad, Cipro, Città del Vaticano, Colombia, Congo, Costa d’Avorio, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Gibuti, Ecuador, Estonia, Figi, Filippine, Finlandia, Francia, Gabon, Georgia, Germania, Grecia, Guinea, Guinea-Bissau, Haiti, Honduras, Islanda, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Salomone, Irlanda, Italia, Kazakistan, Kiribati, Kosovo, Kirghizistan, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Madagascar, Malta, Mauritius, Messico, Micronesia, Moldavia, Monaco, Mongolia, Montenegro, Mozambico, Namibia, Nauru, Nepal, Nicaragua, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Palau, Panama, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Centrafricana, Repubblica Dominicana, Repubblica Slovacca, Romania, Rwanda, Samoa, San Marino, Sao Tome e Principe, Senegal, Serbia, Seychelles, Sierra Leone, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Suriname, Svezia, Svizzera, Timor-Leste, Togo, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Uzbekistan, Vanuatu, Venezuela.
ABOLIZIONISTI PER I SOLI REATI COMUNI
Paesi il cui ordinamento giuridico prevede l’applicabilità della pena di morte solo per reati “eccezionali”, come reati militari, o reati commessi in circostanze eccezionali:[1]
Brasile, Burkina Faso, Cile, El Salvador, Guatemala, Guinea Equatoriale, Israele, Perù, Zambia.
ABOLIZIONISTI DE FACTO
Paesi che mantengono la pena di morte per i reati comuni come l’omicidio, tuttavia possono essere considerati abolizionisti nella prassi perché non hanno eseguito nessuna condanna a morte negli ultimi 10 anni o più, e hanno una politica o una prassi consolidata di non eseguire condanne:
Algeria, Brunei Darussalam, Camerun, Corea del Sud, Eritrea, Eswatini, Federazione Russa[2], Ghana, Grenada, Kenya, Laos, Liberia, Malawi, Maldive, Mali, Mauritania, Marocco/ Sahara Occidentale, Niger, Sri Lanka, Tagikistan, Tanzania, Tonga, Tunisia.
Paesi che conservano la pena di morte per i reati comuni:
Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Bahamas, Bahrein, Bangladesh, Barbados, Bielorussia, Belize, Botswana, Cina, Comore, Corea del Nord, Cuba, Dominica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Giamaica, Giappone, Giordania, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Myanmar, Nigeria, Oman, Pakistan, Palestina (Stato di), Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Sudan del Sud, Taiwan, Tailandia, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam, Yemen, Zimbabwe.
[1] Non sono state rilevate esecuzioni in questi Paesi negli ultimi 10 anni
[2] La Federazione Russa ha introdotto una moratoria sulle esecuzioni nell’agosto 1996. Tuttavia, esecuzioni sono state effettuate tra il 1996 e il 1999 nella Repubblica cecena.
In Cina centinaia di casi documentati di pena di morte non sono presenti nel registro giudiziario online, da subito pubblicizzato come un “passo avanti decisivo verso l’apertura” e regolarmente citato come prova che il sistema giudiziario cinese non ha nulla da nascondere.
Il registro in realtà contiene solo una piccola parte delle migliaia di condanne a morte che riteniamo siano emesse ogni anno in Cina. Sulla base di fonti pubbliche cinesi tra il 2014 e il 2016 sono state eseguite almeno 931 condanne a morte, solo 85 delle quali sono riportate nel registro.
Il registro, inoltre, non contiene i nomi dei cittadini stranieri condannati a morte per reati di droga, sebbene i mezzi d’informazione locali abbiano dato notizia di almeno 11 esecuzioni. Sono assenti anche numerosi casi relativi a “reati di terrorismo“.
Negli ultimi anni il rischio di essere messi a morte per reati non commessi ha suscitato allarme nell’opinione pubblica cinese. Nel dicembre 2016 la Corte suprema del popolo ha riconosciuto l’errore giudiziario in uno dei casi più noti, l’esecuzione di Nie Shubin, messo a morte 21 anni prima all’età di 20 anni. Sempre lo scorso anno i tribunali cinesi hanno riconosciuto l’innocenza di quattro condannati a morte annullandone la sentenza.
Per il quindicesimo anno consecutivo, gli Stati Uniti sono rimasti l’unico paese della regione ad effettuare esecuzioni. Il numero di esecuzioni effettuate negli Stati Uniti è aumentato del 33 per cento, passando da 18 nel 2022 a 24 nel 20223.
La Florida ha eseguito le sue prime esecuzioni (6) e le autorità federali statunitensi hanno imposto la loro prima condanna a morte dal 2019.
Negli Stati Uniti, le autorità di diversi Stati hanno intrapreso misure per modificare i protocolli di esecuzione o aggirare le decisioni giudiziarie fondamentali al fine di facilitare le esecuzioni. La segretezza per vagliare i dettagli delle esecuzioni è sempre più utilizzata. In Idaho e Tennessee sono state introdotte leggi per l’esecuzione da parte del plotone d’esecuzione, mentre l’assemblea statale del Montana ha considerato un disegno di legge per espandere le sostanze che possono essere utilizzate nel protocollo per l’iniezione letale. Nella Carolina del Sud, il governatore ha firmato un disegno di legge per nascondere l’identità di persone o entità coinvolte nella preparazione o nello svolgimento di esecuzioni. L’Idaho ha cercato ancora una volta di riprendere le esecuzioni pianificando l’iniezione letale di un uomo per la seconda volta in tre mesi, il primo tentativo era fallito. Il governatore della Florida Ron Desantis ha firmato un disegno di legge per consentire la condanna a morte quando almeno otto giurati votano a favore, rendendolo lo stato con il più basso voto minimo richiesto dalle giurie per imporre condanne a morte. A luglio, l’Alabama ha ripreso le esecuzioni per iniezione letale dopo che la governatrice Kay Ivey aveva revocato la breve moratoria ufficiale che aveva imposto nel novembre 2022 per rivedere le procedure di iniezione letale, dopo due tentativi falliti di esecuzione.
Un nuovo protocollo per le esecuzioni per asfissia da azoto è entrato in vigore nel mese di agosto, con le componenti chiave oscurate nel testo pubblico. Nel mese di novembre, la governatrice ha approvato la prima esecuzione con questo metodo, nuovo e non testato, che è stata realizzata nel gennaio 2024 in un processo che gli esperti delle Nazioni Unite hanno descritto come tortura.
Appena dopo la fondazione nel 1961, abbiamo iniziato a inviare appelli per fermare le esecuzioni di prigionieri di coscienza. Un lavoro che oggi avviene a prescindere dal reato o dal comportamento sanzionato come reato, e indipendentemente dalla presenza o assenza dell’attenzione dei mezzi di informazione o del pubblico sui singoli casi.
A livello internazionale siamo tra i membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte (World Coalition Against Death Penalty, WCADP) e coordiniamo le attività della Rete asiatica contro la pena di morte (Anti-Death Penalty Asia Network, ADPAN). Dal 2014 collaboriamo con la Task force contro la pena di morte, istituita dal ministero degli affari esteri, affinché il voto biennale sulla moratoria sulla pena di morte all’Assemblea generale delle Nazioni unite raccolga sempre di più il maggior numero di voti favorevoli.
Infine monitoriamo costantemente l’applicazione della pena di morte nel mondo fornendo dati e informazione in una pubblicazione annuale.
Il nostro impegno continuerà fino a quando: